martedì 28 gennaio 2014
La magia della Tessitura
Mio nonno Piero Perin, padre di mia mamma, era uno di quelli che in tessitura Marzotto ci aveva lasciato non so quanti giorni della sua vita.
La mia nonna e sua moglie, la Cecilia, mi raccontava sempre di quando mio nonno partiva dal Castello per raggiungere la tessitura a piedi. Tutti i giorni della sua vita.
Non ho mai conosciuto mio nonno di persona, so di lui e della sua vita da tutto quello che mi è stato raccontato e ogni tanto guardo una sua foto e riverso i miei pensieri su quell'immagine, cercando di dargli una voce, un tono, un atteggiamento... ovvero tutto quello che non riesco a ritrovare dentro ai miei ricordi.
Era il 1997 e avevo appena cominciato a lavorare alla Marzotto quando venni invitata in sede centrare (io lavoravo al Maglio) per una sorta di giornata formativa sull'azienda. Era messa in piedi ogni tot di nuovi assunti che, in quel periodo, arrivavano copiosi da ogni dove. Io stessa ero stata pescata dall'elenco dei voti della maturità del mio liceo.
Quel giorno, in sede centrale, ci fecero fare un viaggio nell'universo Marzotto, spiegandoci tutto: dall'arrivo della lana, al tessuto e al capo finito.
Non era tanto la questione della "confezione" che mi interessava; io ero attirata alla grande da quella magia chiamata tessitura.
Mia nonna mi raccontava che in quel reparto c'era un gran baccano. Mio nonno, del resto, aveva dei gran problemi d'udito già a 40 anni. La causa di questi era, probabilmente, il rumore assordante dei telai che, come nel miglior filmato sulla produttività della Valle, era la colonna sonora della vita della città.
Un giorno, avrò avuto 6 anni circa, mia nonna mi portò dalle parti della Marzotto, vicino a dove c'erano le finestre della tessitura. Mi disse che da lì, in estate, si sentiva il battere dei telai.
Se sentivi quel rumore voleva dire che andava tutto bene.
Nel 1997, all'alba dei miei quasi 20 anni, io entrai in tessitura e mi sentivo come un archeologo nel momento di aprire un luogo sacro.
Il rumore c'era, le vibrazioni del pavimento pure. Le navicelle dei telai viaggiavano così veloci da non saperle distinguere nel loro movimento.
Un addetto ai telai ne rallentò uno per farci vedere come funzionava il tutto: le navette erano due e si incontravano a metà percorso per scambiarsi i fili. Non so spiegarvi perché ma in quel momento io pensai a due mani che si stringono dando inizio a qualcosa di spettacolare. Ne rimasi estasiata.
Il tessuto che nasce è proprio come un bimbo che viene al mondo e se sei di Valdagno questa cosa è dentro di te.
L'estate scorsa ho raggiunto le Isole Ebridi Esterne e ho scoperto come viene tessuto il tweed.
Ho ripensato a mio nonno, al suo correre in fabbrica e ai suoi timpani, provati all'ennesima potenza da un processo rumoroso e allo stesso tempo grandioso.
Se chiedessi ai Valdagnesi oggi chi sa tessere... in quanti mi risponderebbero?
Ubicazione:
Valdagno VI, Italia
venerdì 24 gennaio 2014
Fora Febraro!
Foto dalla Pagina Facebook Fora Febraro |
Ok, lo so che deve ancora finire Gennaio. Ma non posso farci nulla se già penso a "Fora Febraro".
Come nel migliore degli assiomi, se pensi tanto ad una cosa significa che ti manca e nulla potrebbe essere più vero se riferito a me.
Ne me sono andata da Valdagno nel 2002 ed è da quell'anno che non sento più i botti e il casino il 28 (o 29) Febbraio.
Quando ero piccola speravo sempre che fine di Febbraio cadesse nel week-end così potevo restare a dormire dalla mia nonna, in Via Castello.
Mia nonna Cecila era per me la tenutaria di un sacco di tradizioni. A fine febbraio mi armava di coperchi di pentole e mi lasciava andare in giro a far casino perché "pi casin ghe xe par far fora Febraro, mejo xe".
Io sono sempre stata molto legata a queste tradizioni antiche e pagane che, sicuramente, sono state portate nella nostra valle da quegli uomini biondi e nordici chiamati Cimbri.
I Cimbri arrivavano dalla Danimarca ed erano popolazione di tradizione pagana all'ennesima potenza e questo si vede da tutto ciò che ci hanno lasciato: il falò della Stria, Feste come la Chiamata di Marzo e essenzialmente il fatto di fare del gran casino per cacciare l'inverno.
Ci sono miliardi di tradizioni che assomigliano a quella di Fora Febraro presso tutti quei popoli che un tempo praticavano il paganesimo.
L'inverno è spesso visto come un essere cattivo che va scacciato con del gran rumore.
Vale, per me, anche l'interpretazione diversa che vede l'inverno come un qualcosa di assopito che va svegliato affinché la primavera faccia il suo corso.
Comunque la mettiate, io sento una grande mancanza dei botti e del casino in quella notte di fine febbraio. Qui in Emilia, solitamente è tutto così silente che io non posso esimermi dal prendere i coperchi delle mie pentole, uscire in terrazzo 3 minuti e sbatterli a più non posso.
Che mi prendano pure per matta i miei vicini... io sono di Valdagno e lì si fa Fora Febraro.
Non fare rumore quella sera mi fa sentire come una bimba che non ha fatto il suo dovere... e sia mai che io mi senta così!
So che la popolazione della Valle si divide in chi ama questa tradizione e in chi, invece, la vorrebbe morta e sepolta.
Ammesso e concesso che i botti si devono fare in totale sicurezza e senza recare danno a nessuno (animali e cose comprese), io sono una grande sostenitrice di tutte quelle tradizioni che rendono peculiare, curioso e interessante un paese.
Perché ci sono sagre e feste in Italia, magari in paesi piccoli, che attirano gente su gente e non c'è nessuno che viene a passare la notte di fine Febbraio a Valdagno?
Ubicazione:
Valdagno VI, Italia
lunedì 20 gennaio 2014
Intervista a Emilio Nizzero
Oggi iniziamo una nuova settimana con una bella intervista a Emilio Nizzero che, per Valdagno, è davvero un personaggio poliedrico e di tutto rispetto.
Emilio e Io ci siamo conosciuti in un bell'agriturismo, al cospetto di un ottimo formaggio di capra.
E questo non è un caso visto che il nostro intervistato di oggi fa parte dell'O.N.A.F. ovvero l'organizzazione nazionale degli assaggiatori di formaggi.
Eh già... così come ci sono i sommelier, ci sono anche gli assaggiatori di formaggi.
Ecco un altro mestiere da mettere nella mia lista del "cosa vuoi fare da grande":
Su questo blog avevamo già parlato di Emilio in occasione della prima cena sociale della Confraternita della Maresina.
Se io dico Valdagno, qual è la prima (ma proprio la prima) parola che ti viene in mente?
Vivere , perchè Valdagno è una città da vivere.
A Valdagno trovi tutto: storia, arte, cultura,paesaggio, divertimento, tranquillità: una città tutta da vivere.
Sono rimasto lontano da Valdagno, per motivi di lavoro, per circa 25 anni. Al mio rientro ho ripercorso tutti I luoghi della mia infanzia e giovinezza e li ho trovati ancora intatti come li avevo lasciati. Ecco forse bisogna lasciare per un pò di tempo la propria città per poterne apprezzare la bellezza e la tranquillità di vita.
Immagina di essere ad una conferenza con tantissime persone e pensa alla possibilità di promuovere Valdagno in poche righe. Cosa diresti?
La Città Sociale è senza dubbio il punto di partenza per promuovere Valdagno: unica in Italia nel suo genere, voluta e costruita negli anni dalla famiglia Marzotto per i propri dipendenti ed è diventata il simbolo della Città.
Dall’asilo, alle scuole elementari e medie; dagli istituti superiori alle case per i lavoratori del Lanificio.
Dallo stadio alle piscine, dal dopolavoro alle palestre, dalla scuola di musica al teatro.
Ci sono inoltre gli ambulatori medici alla casa di riposo per gli anziani: una città dentro alla città.
Tutto ciò è ancora in uso e visitabile.
A Valdagno non c'è solo questo: la parte vecchia è ricca ville e palazzi storicamente risalenti a varie epoche, nonchè manufatti ecclesiastici risalenti al XIII secolo.
Valdagno è immersa nel verde delle colline, ha numerose contrade facilmente raggiungibili sia in auto che a piedi o mountain bike, ricche anche esse di storia e cultura ,dalle qualli si ha una visione della città e di tutta la valle.
Cosa manca alla nostra città e su cosa punteresti per far parlare il mondo di Valdagno?
In teoria come già detto a Valdagno non manca nulla.
In pratica manca la capacità di sviluppare idee ed agire con semplicità e costanza nell’attuarle.
Vuoi alcuni esempi?
Valdagno : “Città dell’armonia"
Scuola di musica V.E. Marzotto – Auditorium Ugo Zanuso”, perché non portare la musica nelle vie della città?
Valdagno : Città dell’arte e dell’armonia “
Qui c’è il Liceo artistico Boccioni perché non coinvolgerlo in un progetto che faccia conoscere la città organizzando mostre utilizzando spazi aperti e già di per sé artistici della città?
Sto pensando alle numerose corti esistenti in centro storico .
A Valdagno c’è un circolo fotografico “ Fotoricerca “ che esiste da 40 anni e potrebbe organizzare mostre fotografiche sia paesaggistiche che artistiche e interagire con altri circoli fotografici della provincia o della regione .
“Valdagno città sociale dell’arte, dell’armonia e della gastronomia!“
A Valdagno c’è anche un interessantissimo bacino eno-gastronomico da sviluppare.
Ci sono ristoratori che operano da anni con impegno per promuovere la cucina del territorio ricca di storia e tradizioni.
Ora credo che a Valdagno non manchi proprio nulla.
Raccontami due prodotti con la Maresina che secondo te sono da conoscere e gustare.
Nell’aprile dello scorso anno si è svolta in città la prima festa della “ Maresina De.Co di Valdagno “ e in quella occasione si sono sperimentati numerosi prodotti gastronomici contenenti questa erba.
Nell’aprile di quest’anno la festa si ripeterà e per l’occasione sono già in produzione un formaggio, dei biscotti, una torta e un sugo tutti con Maresina De.Co di Valdagno.
L’idea del formaggio con la Maresina mi è venuta 5 anni fa.
Da esperto caseario ho provato abbinare questa nostra erba, usata solamente per le più famose fritole, ad una cagliata ottenuta dal latte di vacca di razza bruna . Il risultato mi è parso subito buono.
E’ un formaggio a latte intero termizzato, a pasta cruda pressata.
La cagliata avviene per acidità naturale del latte e con l’aggiunta di caglio animale. Una volta ottenuta la cagliata si procede all’impasto della stessa con foglie essiccate di Maresina De.Co. Di Valdagno. La stagionatura si protrae per circa 60 giorni in ambiente naturale.
E’ un formaggio da tavola ( 60 giorni )se fatto stagionare più a lungo se ne consiglia l’uso leggermente riscaldato alla piastra.
La vera e propria novità di quest'anno è il sugo che sarà senz’altro un altro prodotto molto interessante.
Viene prodotto con Maresina De.Co di Valdagno con aggiunta di Noci tritate e formaggio Monte Faldo De.Co stagionato, grattuggiato, il tutto amalgamato con olio extravergine d’oliva.
Sarà un ottimo condimento per le classiche tagliatelle fatte in casa. Provare per credere.
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Interviste,
Valdagno
Ubicazione:
Via Marconi, 36078 Valdagno VI, Italia
giovedì 16 gennaio 2014
I primi stranieri dell'hockey Valdagno
Negli anni '80 a Valdagno l'hockey si giocava nella vecchia pista Lido (a fianco della Piscina scoperta), entrambe di proprietà dei Marzotto: un piccolo catino dove nei sabati sera si assiepavano anche più di 1.000 persone per seguire i propri beniamini, che generalmente erano persone del posto cresciute con questa passione e che potevano sfidare le squadre più forti davanti ad un calorosissimo pubblico che iniziava ad assiepare le gradinate anche un'ora prima dall'inizio della gara.
Erano gli anni dei valdagnesi Grigolato e dei fratelli Marco e Mirko De Gerone (“figli d'arte” di Luigi), del cavallo pazzo Pretto, di Cocco, Tony Faccin e tanti altri, tutti nati e cresciuti a Valdagno. A separare la pista di gioco dal pubblico c'era solo una normalissima rete di recinzione, cosicchè i giocatori e soprattutto i direttori di gara avevano il fiato direttamente sul collo e non potevano certo permettersi grandi errori; le panchine erano appena fuori dagli spogliatoi (e non sotto quella che più tardi diventerà una specie di tribunetta stampa, dove saranno spostate qualche anno dopo) e le porte dei campi avevano i pali a forma rettangolare e non rotondi, secondo quelle disposizioni che verranno introdotte in seguito dalla Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio.
Erano gli anni dei valdagnesi Grigolato e dei fratelli Marco e Mirko De Gerone (“figli d'arte” di Luigi), del cavallo pazzo Pretto, di Cocco, Tony Faccin e tanti altri, tutti nati e cresciuti a Valdagno. A separare la pista di gioco dal pubblico c'era solo una normalissima rete di recinzione, cosicchè i giocatori e soprattutto i direttori di gara avevano il fiato direttamente sul collo e non potevano certo permettersi grandi errori; le panchine erano appena fuori dagli spogliatoi (e non sotto quella che più tardi diventerà una specie di tribunetta stampa, dove saranno spostate qualche anno dopo) e le porte dei campi avevano i pali a forma rettangolare e non rotondi, secondo quelle disposizioni che verranno introdotte in seguito dalla Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio.
Era decisamente un altro tipo di hockey, certamente più battagliero e più campanilistico rispetto a quello odierno: furono gli anni del vero e proprio boom di questo sport, che è sempre stato di seconda fascia ma che arrivò ad essere introdotto di lì a poco persino come sport dimostrativo alle Olimpiadi di Barcellona, un'esperienza che purtroppo non venne più ripetuta.
E fu proprio in quegli anni anche a Valdagno iniziarono ad arrivare i primi giocatori dall'estero: in primis gli spagnoli Jose Cuesta e Pedro Ventura, che tranne per quella parentesi vicentina credo abbiano fatto immediato ritorno in patria. Chi invece sostò un po' di più in Italia fu l'americano Jimmy Trussell che, arrivato da Valdagno via Vercelli, disputò un paio di stagioni di buon livello prima di passare al Thiene (altra formazione che in quegli anni era tra le più forti a livello nazionale). Non furono molti i campioni di questo sport negli states, lui sicuramente lasciò segno del suo passaggio nella città laniera tanto che di lì a poco la formazione biancoceleste arrivò in semifinale nella prima esperienza assoluta europea di Coppa Cers (l'allora equivalente della Coppa Uefa del Calcio), dove venne eliminata più che onorevolmente dai portoghesi del Benfica (valdagnesi sconfitti per 5 a 3 in casa e pareggio per 5 a 5 in trasferta).
E dopo di loro a Valdagno arrivarono lo spagnolo Valverde e il portoghese Trindade, e via via gli altri che hanno contribuito a far vivere dei sabati sera emozionanti agli abitanti valdagnesi particolarmente appassionati di questo sport in quegli anni (ma lo sono anche oggi), e che potete leggere nell'ebook che ho scritto e di recente pubblicato intitolato “Dalle stelle alle stalle alle stelle”, in vendita qui.
@massimin74
Dettagli della foto
Ecco la squadra dell'hockey Marzotto Valdagno che ha disputato il campionato di serie A nel 1989/1990 (dal sito Internet http://valdagnocampione.jimdo.com/).
In piedi da sinistra Cocco, Pretto, Valverde, Trindade e Zanfi. Sotto da sinistra Peghin, Franceschi, Mirko De Gerone, Cunegatti e Randon.
A parte Zanfi,Trindade e Valverde, gli altri erano tutti valdagnesi. Valverde si stabilirà poi a Valdagno e sarà l'allenatore che porterà alla conquista del primo storico scudetto di hockey su pista per la città cosiddetta laniera.
Ubicazione:
Valdagno VI, Italia
lunedì 13 gennaio 2014
C'era una volta lo Sgnarock...
C'era una volta lo Sgnarock, che mi è tornato in mente grazie ad un gruppo Facebook che ho scoperto da poco. Se non erro, la manifestazione nacque nel 1991 e si teneva in Favorita.
Successivamente fu spostata al Maglio di Sopra per una questione di spazio e di affluenza.
Se penso a quel periodo mi viene in mente una parola inglese che definisce quelli che iniziano una cosa e non la portano più avanti. Ho in testa il concetto ma non la parola precisa ma se la ritrovo nei meandri del mio cervello ve la dico.
Lo Sgnarock era quella kermesse nata per caso, forse, e continuata arrivando nell'albo dei migliori festival rock d'Italia.
Gli anni '90 sono stati un'ottima fucina di momenti come lo Sgnarock: regnava su tutti l'Arezzo Wave ed era fantastico perché c'era un gran fermento musicale serio e impegnato. Io sono fiera di essere stata adolescente in quegli anni.
I miei ricordi dello Sgnarock sono tanti e c'è un'unica cosa che mi dispiace: non ho mai fatto parte della squadra dei volontari degli stand.
Il mio ricordo più grande di quella manifestazione è legato all'ultima edizione, quella dell'estate del 1998. Io ero appena tornata da Recife, in Brasile, e con l'associazione di volontari della quale facevo parte si era messo su uno stand nella zona dedicata al volontariato.
Era una posizione perfetta: sufficientemente vicina al palco per godersi lo spettacolo, sufficientemente lontana per non scassarmi i timpani e correttamente vicino all'entrata per beccare più gente possibile.
La mia anima in quei giorni era in fase di ricostruzione: dopo quasi un mese di Brasile e di bimbi di strada, ero in una di quelle condizioni in cui ogni cosa tenera mi faceva piangere.
Adoravo godermi i momenti di tranquillità del pomeriggio, quando ancora non c'era troppa gente in giro per il prato e il sole di fine agosto era già gentile sulla pelle.
Adoravo, alla sera, sentire l'aria scendere dai monti costringendomi a mettere il maglione.
Vedere il prato dei concerti stracolmo di gente era una soddisfazione non da poco.
Non dimenticherò mai le performance degli Afterhours, degli Africa Unite (il prato straboccava) e dei Modena City Ramblers che, se non erro, sono stati proprio il gruppo che ha chiuso l'ultima edizione dello Sgnarock.
Questo festival mi manca, così come mi manca la Settimana dell'Oratorio e il Festival Blues durante i mercoledì d'estate.
Una volta cercai di ragionare tra me e me per capire come mai, quando ci sono delle cose che funzionano bene, le si lascia andare e non le si mette in scena più.
Non voglio fare nessun discorso sulle responsabilità e sull'impegno. Quello che dico, da spettatrice appassionata, è che esiste sempre un momento in cui le cose diventano grandi e ci pongono davanti ad una scelta: o ci si dedica ad essere o non le si pensa più.
Questo accade con le passioni, il lavoro, lo sport, lo studio e mille altre cose.
Quello che posso dire con certezza ora è che un festival come lo Sgnarock avrebbe fatto parlare di Valdagno in tutta Italia.
In un'epoca in cui web e social network sono alla portata di tutti, lo Sgnarock avrebbe avuto una diffusione virale e così anche il nostro bel paesello.
Si dovesse mai decidere di ricominciare con questo festival, io mi offro per metterci quanto possa essere possibile per me.
Mi piacerebbe davvero che un bell'evento come questo tornasse a chiudere l'estate Valdagnese.
Successivamente fu spostata al Maglio di Sopra per una questione di spazio e di affluenza.
Se penso a quel periodo mi viene in mente una parola inglese che definisce quelli che iniziano una cosa e non la portano più avanti. Ho in testa il concetto ma non la parola precisa ma se la ritrovo nei meandri del mio cervello ve la dico.
Lo Sgnarock era quella kermesse nata per caso, forse, e continuata arrivando nell'albo dei migliori festival rock d'Italia.
Gli anni '90 sono stati un'ottima fucina di momenti come lo Sgnarock: regnava su tutti l'Arezzo Wave ed era fantastico perché c'era un gran fermento musicale serio e impegnato. Io sono fiera di essere stata adolescente in quegli anni.
I miei ricordi dello Sgnarock sono tanti e c'è un'unica cosa che mi dispiace: non ho mai fatto parte della squadra dei volontari degli stand.
Il mio ricordo più grande di quella manifestazione è legato all'ultima edizione, quella dell'estate del 1998. Io ero appena tornata da Recife, in Brasile, e con l'associazione di volontari della quale facevo parte si era messo su uno stand nella zona dedicata al volontariato.
Era una posizione perfetta: sufficientemente vicina al palco per godersi lo spettacolo, sufficientemente lontana per non scassarmi i timpani e correttamente vicino all'entrata per beccare più gente possibile.
La mia anima in quei giorni era in fase di ricostruzione: dopo quasi un mese di Brasile e di bimbi di strada, ero in una di quelle condizioni in cui ogni cosa tenera mi faceva piangere.
Adoravo godermi i momenti di tranquillità del pomeriggio, quando ancora non c'era troppa gente in giro per il prato e il sole di fine agosto era già gentile sulla pelle.
Adoravo, alla sera, sentire l'aria scendere dai monti costringendomi a mettere il maglione.
Vedere il prato dei concerti stracolmo di gente era una soddisfazione non da poco.
Non dimenticherò mai le performance degli Afterhours, degli Africa Unite (il prato straboccava) e dei Modena City Ramblers che, se non erro, sono stati proprio il gruppo che ha chiuso l'ultima edizione dello Sgnarock.
Questo festival mi manca, così come mi manca la Settimana dell'Oratorio e il Festival Blues durante i mercoledì d'estate.
Una volta cercai di ragionare tra me e me per capire come mai, quando ci sono delle cose che funzionano bene, le si lascia andare e non le si mette in scena più.
Non voglio fare nessun discorso sulle responsabilità e sull'impegno. Quello che dico, da spettatrice appassionata, è che esiste sempre un momento in cui le cose diventano grandi e ci pongono davanti ad una scelta: o ci si dedica ad essere o non le si pensa più.
Questo accade con le passioni, il lavoro, lo sport, lo studio e mille altre cose.
Quello che posso dire con certezza ora è che un festival come lo Sgnarock avrebbe fatto parlare di Valdagno in tutta Italia.
In un'epoca in cui web e social network sono alla portata di tutti, lo Sgnarock avrebbe avuto una diffusione virale e così anche il nostro bel paesello.
Si dovesse mai decidere di ricominciare con questo festival, io mi offro per metterci quanto possa essere possibile per me.
Mi piacerebbe davvero che un bell'evento come questo tornasse a chiudere l'estate Valdagnese.
Ubicazione:
Valdagno VI, Italia
giovedì 9 gennaio 2014
L’ultimo del Giro d’Italia a Valdagno
Un’immagine del tratto finale del versante valdagnese dello Zovo dal blog di Emanuela Tintori, che lo ha percorso al contrario rispetto alla Tappa del Giro raccontata in questo articolo |
29 Maggio 1998.
Risale a 15 anni fa l’ultimo passaggio della cosiddetta “Carovana rosa” del Giro d’Italia per le strade di Valdagno e purtroppo, per gli “affezionati” di questo bellissimo sport che permette ogni anno di scoprire nuovi scorci e suggestivi paesaggi d’Italia, anche per il 2014 non è previsto il transito nonostante il notevole sèguito che c’è in tutta la vallata (come testimoniato da quegli innumerevoli gruppi più o meno organizzati di ciclismo e di Mountain Bike che si ritrovano tutte le Domeniche per una bella scampagnata in allegria).
Risale a 15 anni fa l’ultimo passaggio della cosiddetta “Carovana rosa” del Giro d’Italia per le strade di Valdagno e purtroppo, per gli “affezionati” di questo bellissimo sport che permette ogni anno di scoprire nuovi scorci e suggestivi paesaggi d’Italia, anche per il 2014 non è previsto il transito nonostante il notevole sèguito che c’è in tutta la vallata (come testimoniato da quegli innumerevoli gruppi più o meno organizzati di ciclismo e di Mountain Bike che si ritrovano tutte le Domeniche per una bella scampagnata in allegria).
Che peccato!
Fu quella la 13a tappa del Giro, caratterizzata da una lunga fuga iniziale di due gregari (Douma e Bessy) senza esito, e così i corridori entrarono in gruppo in Città da Sud, dopo aver attraversato tutta la valle dell’Agno.
Se non ricordo male al tempo non era ancora stata realizzata la grande rotatoria di Ponte dei Nori, e sicuramente neanche quella che si trova in prossimità dello Stabilimento ora ex Marzotto di Maglio di Sopra: quindi per i corridori fu un lungo rettilineo fino alla frazione di Maglio di Sopra, e poi da qui imboccarono in senso contrario la discesa che porta verso la cosiddetta “busa del Mayo” per l’occasione ri-asfaltata, sulla destra appena dopo il semaforo pedonale che è stato installato non molti anni fa (sarebbe stato infatti impossibile prendere poco prima, sempre sulla destra, la stradina ben più stretta di fronte al negozio di Mamma Gigetta), attraversarono poi il Ponte sull’Agno ed iniziarono la salita del Passo dello Zovo passando davanti all’attuale sede degli Alpini di Novale, e quindi dietro al bar della Ruetta.
Nel tratto iniziale (che è anche quello più impegnativo) ci furono una serie di scatti e controscatti, ma la stoccata che sembrava decisiva fu quella piazzata da Marco Pantani, che partì nel lungo rettilineo finale prima della fattoria che si trova sulla sinistra - salendo -, e che è anche una delle ultime abitazioni prima del Passo, quota 631 m.
Nel tratto iniziale (che è anche quello più impegnativo) ci furono una serie di scatti e controscatti, ma la stoccata che sembrava decisiva fu quella piazzata da Marco Pantani, che partì nel lungo rettilineo finale prima della fattoria che si trova sulla sinistra - salendo -, e che è anche una delle ultime abitazioni prima del Passo, quota 631 m.
Ma nella successiva discesa verso Schio successe l’imprevedibile: causa il fondo stradale scivoloso per la leggera pioggia e le prime temibili curve appena passata la Trattoria in cima al Passo, Pantani cadde; riuscì comunque ad alzarsi quasi subito, ma nel frattempo perse la prima posizione e concluderà la tappa al dodicesimo posto (alcune di queste informazioni sono state reperite sul sito Internet di Rai Sport).
Ma anche chi lo seguiva, e nel frattempo era passato in testa, dovette fare i conti con l’imprevedibilità del versante scledense dello Zovo: anche il russo Pavel Tonkov andò diritto poco sopra la Chiesa della frazione di Monte Magrè, lasciando la speranza di vittoria della tappa.
Ma anche chi lo seguiva, e nel frattempo era passato in testa, dovette fare i conti con l’imprevedibilità del versante scledense dello Zovo: anche il russo Pavel Tonkov andò diritto poco sopra la Chiesa della frazione di Monte Magrè, lasciando la speranza di vittoria della tappa.
E tra un inconveniente e l’altro si arrivò prima a Magrè e quindi nel centro di Schio, dove in volata si impose Michele Bartoli su Guerini e Paolo Bettini.
Poco dopo arrivò Noè, che quel giorno conquistò la maglia rosa di leader, ma che la perderà immediatamente il giorno successivo, quando arrivarono le grandi montagne (e per i successivi tre giorni fu indossata dallo svizzero Zulle).
Per la cronaca quel Giro d’Italia fu vinto dall’indimenticabile Marco Pantani, che in classifica generale si imporrà davanti a Tonkov e a Guerini.
La 13a del Giro d'Italia del 1998 partì da Carpi: ma che coincidenza per @Giovyfh!
@massimin74
Ubicazione:
Valdagno VI, Italia
martedì 7 gennaio 2014
Intervista a Valentina Dall'Ara
Oggi intervistiamo Valentina Dall'Ara, che è una Valdagnese molto appassionata della storia della nostra città. In particolare, Valentina si è laureata con una tesi che parla del Teatro Rivoli.
Ecco qui quello che ci siamo raccontate!
Ciao Valentina, ti va di prensentarti in qualche parola?
Ciao Giovy! Grazie innanzitutto per questa possibilità e per il tuo entusiasmo nel promuovere il nostro territorio!
Ti racconto un po’ di me, dunque, sono valdagnese di nascita, classe ’86, quando ho un po’ di tempo libero mi puoi trovare in biblioteca dove spulcio articoli e testi riguardanti la nostra città.
Mi sono laureata in lettere a Venezia ed ho terminato gli studi a Roma dove ho collaborato con gallerie d’arte contemporanea. Attualmente lavoro al Museo Civico di Bassano del Grappa.
La mia vera passione però è il teatro, sono redattrice per la rivista Sipario ed ho collaborato con diverse compagnie e teatri.
So che hai fatto una bellissima Tesi sul Teatro Rivoli, come mai questa scelta?
Il teatro Rivoli ha sempre avuto per me un fascino speciale.
Ci passavo accanto da bambina, per andare a casa dei nonni, all’epoca era già chiuso da parecchi anni, e ricordo nitidamente l’odore di qualcosa di grande che usciva dalle finestre laterali semichiuse. Ancora oggi mi capita di sentire questo particolarissimo odore passandoci affianco.
Ancora prima di iscrivermi all’Università sapevo che la mia tesi di laurea, consultabile in biblioteca Villa Valle (Storia e documentazione del Cinema Teatro Impero poi Rivoli in Valdagno 1937-1981), sarebbe stata su questo gigante addormentato. Ne ho ricostruito la storia partendo dalle fonti giornalistiche del tempo: La Vedetta Fascista, Il Giornale di Vicenza, Il Bollettino dei Lanifici.
La mia tesi è nata dunque dalla curiosità di recuperare la storia di un Teatro che, nonostante abbia avuto vita per soli 45 anni, è diventato il custode dei ricordi di molte generazioni diverse. Ha assistito ai molteplici cambiamenti storici del Novecento passando attraverso la seconda guerra mondiale, il fascismo, la caduta del regime, l’avvento della tecnologia, le rivoluzioni del ’68, gli anni settanta fino a gustare il primissimo assaggio degli anni ottanta prima di chiudere e diventare soltanto un altro luogo di memorie.
Oggi resta lo spettro di un Teatro forse ancora troppo ingombrante pur essendo ‘morto’ da ben 32 anni: una struttura massiccia di nome Rivoli che, soprattutto per chi è troppo giovane per ricordarlo attivo, viene riconosciuta solamente come condominio o addirittura confusa con l’omonimo bar posizionato sull’altro lato della strada, situato in quel palazzo conosciuto come palazzo Jolly Hotel che ha preso il posto della piazza-giardino che una volta sorgeva davanti al Teatro.
Se dovessi avere davanti a te un viaggiatore di qualche paese lontano, come lo convinceresti a venire a vedere Valdagno!?
In realtà, già parecchie volte mi sono trovata in questa situazione e devo dire che le reazioni dei miei interlocutori sono sempre state più che positive.
La storia di Valdagno, in particolare della dinastia Marzotto e della città sociale, affascina facilmente. Forse, ancora non ci siamo resi conto del patrimonio di archeologia industriale che abbiamo a disposizione ogni giorno sotto i nostri occhi: la città sociale di Valdagno è di per sé un unicum che, come tale, andrebbe valorizzato, preservato e promosso come bene comune.
Valdagno ha moltissime storie da raccontare, credo di poter affermare che ogni edificio sia della città sociale che della città storica conserva aneddoti o avvenimenti incredibili!
Raccontami il luogo che più ami (Rivoli escluso) della nostra città.
Al di fuori del Teatro Rivoli e della città sociale mi affascina particolarmente la Piazza del Campanile perché in un limitatissimo spazio si presentano sotto i nostri occhi 400 anni di storia.
Non tutti sanno che, incastonato nel campanile, c’è un rilievo in pietra del 1400, di autore ignoto, rappresentante l’ultima cena. Il campanile, testimonianza di architettura cinquecentesca valdagnese, è opera dell’architetto Agostino Righetto: un bell’esempio di classico seicentesco è la vicina canonica.
il Duomo, costruito nella seconda metà del 1700, è opera di Giovanni Miazzi, e la facciata, realizzata un secolo dopo, è di Luigi De Boni. In Piazza del Campanile dunque la Storia dal ‘400 all’ 800 si presenta contemporaneamente sotto i nostri occhi. Niente male, no?
In questa piazza sorgono anche spontanee alcune domande che potrebbero incuriosire un possibile turista e, perché no, anche un valdagnese: il campanile, di solito, si trova vicino a una chiesa, il nostro invece non lo è, dunque, dov’era e com’era la vecchia Chiesa di San Clemente in precedenza? E perché è stata sostituita dall’attuale Duomo settecentesco?
Vi lascio con la curiosità!
Assieme alla Provaldagno e al Comune stiamo cercando di approntare una serie di percorsi guidati in particolare rivolti alla conoscenza della Città Sociale ma speriamo, in un futuro, di riuscire a concretizzare delle visite guidate anche alla parte storica della nostra bella città.
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Interviste,
Valdagno
Ubicazione:
Valdagno VI, Italia
venerdì 3 gennaio 2014
La Nevicata del 1985
Foto dalla pagine Facebook di I Love Valdagno |
Se la memoria non m'inganna, era gennaio, forse fine gennaio.
Mi ricordo quel pomeriggio come se fosse ieri.
Ero alle elementari ed io frequentavo al Ponte dei Nori e facevo tempo pieno.
C'erano pomeriggi in cui le nostre maestre non sapevano come farci tacere ma non era il caso di quell'esatto pomeriggio.
Cominciò a nevicare dopo pranzo, o almeno è così che ricordo.
Ci dissero che se stavamo zitti la neve sarebbe continuata a scendere copiosa.
Nessuno di noi si azzardava a correre il rischio che la neve smettesse di scendere e quindi in quel pomeriggio aleggiava il silenzio.
Come nella migliore delle profezie che si auto-avverano, più silenzio c'era più la neve scendeva e i fiocchi si facevano grandi come non so cosa.
Uscimmo, come sempre, alle 16.30 da scuola e arrivai a casa zuppa di neve e acqua perché, tornando a casa a piedi con alcuni compagni, non perdemmo tempo per giocare a palle di neve.
Il mondo sembrava candido e bellissimo, come tutto quel bianco che era sceso dal cielo.
Se c'è una cosa che ora, nell'età adulta, mi manca è il fatto di gioire immensamente quando vedo che la neve scende incessantemente dal cielo.
Quando si diventa adulti si pensa più alle occasioni perse in caso di neve che a quelle guadagnate in gioco e spensieratezza grazie a tutta quella bellezza invernale che si è posata al suolo.
Ricordo che mia madre quella sera tornò a casa dal lavoro e con me sorrideva tanto, cercando nello stesso tempo di placare il mio entusiasmo.
"E' sera e non vai fuori a giocare ora... magari domani".
Le parole devono essere state queste, circa.
Io passai la serata a tirar fuori dall'armadio la mia tuta da neve, i guanti impermeabili e mi provai i dopo-sci. Era tutto pronto: la mattina dopo sarei andata a scuola in tenuta iper-tecnica.
Già, la mattina dopo.
Fu quasi un problema uscire di casa: io ero piccola e sprofondavo in tutto quel bianco.
Ci mettemmo un sacco ad arrivare a scuola e, una volta lì, mi accorsi che solo pochi dei miei compagni erano riusciti ad arrivare.
Nel frattempo dal cielo scendeva ancora la neve.
Chiusero le scuole ed io fui trasferita di prepotenza in Via Castello, da mia nonna.
La famosa "pontara" non era praticabile dalle auto... ma era il campo di giochi perfetto per noi.
Per me la nevicata del 1985 fu un momento magico fatto di tanti sorrisi e poco disagio.
Invidio quel mio essere, a quel tempo, tanto serena, gioiosa e piena di felicità per quella neve posata al suolo.
Oggi guardo fuori dalla finestra e vedo un inverno asciutto.
L'adulta che è in me dice che è tutto ok. Ma la bimba?
Questo è il mio ricordo di quei giorni... qual è il vostro?
Ubicazione:
Valdagno VI, Italia
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