Foto da La Storia di Valdagno |
Il DAM (lo scrivo senza puntini, così... in amicizia) è uno di quei mitici luoghi Valdagnesi facenti parte di quella che è denominata Città Sociale.
Questa parte di Valdagno è identificata con la riva sinistra dell'Agno... insomma la xe la Rive Gauche de casa nostra. Ghe xe mia solo Parigi a avere 'na riva sinistra, no?
Anyway, questo luogo per me è sempre stato un po' distante perché io vivevo da tutt'altra parte della città e, se non fosse stato per i corsi di nuoto fatti alle Elementari io non avrei avuto motivo, fino alle medie, di venire da questa parte del mondo Valdagnese.
Il DAM è nato in pieni anni '30 col sorgere della Città Sociale per pensiero dei Marzotto e opera di quell'uomo controverso che era Bonfanti, architetto chiave del Ventennio.
DAM sta per Dopolavoro Aziendale Marzotto e venne costruito proprio per i lavoratori del lanificio.
Mia mamma, la Bruna, me ne ha sempre raccontate tante di storie su questo posto e di com'era durante la fine degli anni '60, quando lei ci veniva a ballare e le feste qui dentro erano proprio quelle da non perdere per nulla al mondo.
L'eco di questo mondo arrivò fino agli anni '80 quando anche la sottoscritta venne ammessa ad un veglione (come fa vintage questa parola) del DAM per Capodanno.
Avevo un vestito grigio con dei fiorellini rosa ricamani.
Sarà stato il capodanno tra il 1982 e 1il 1983.
Ricordo i tavoli rotondi, l'orchestra e tutte le stelle filanti in giro per la sala.
Ricordo che mi divertii molto e che quelle sensazioni tornano sulla mia pelle proprio ora che vi scrivo com'era andata quella sera.
Anni dopo girava voce che al DAM ci fosse brutta gente.
Più che brutta gente, si diceva che al DAM girasse brutta roba.
E fin qui ci siamo spiegati.
Io non so se fosse vero o no; ero piccola e certi discorsi erano davvero molto distanti dal mio mondo.
Quello che so è che ogni tanto andavo in piscina e, uscendo, guardavo quelle vetrate dalle quali si intravedeva in pieno la zona dei tavoli da biliardo.
Ora non so come se la passi il nostro DAM.
Quello che so è che si tratta di una pietra miliare di Valdagno e della sua Storia.
Si sa mai... ma mi piacerebbe fosse teatro di una mostra che racconta di quegli anni passati, di quelli in cui i grandi complessi suonavano nella nostra città e le signore si agghindavano come non mai e sembravano bellissime. E lo erano.
Proprio come la mia mamma.
PS: grazie per il libro sulla Città Sociale. E' uno spettacolo e sono felice di portelo leggere.
Eccomi al lavoro su questo post |
Bella narrazione, sulla quale mi sento tuttavia di avanzare due obiezioni:
RispondiEliminaa) Il Dopolavoro (poi DAM) e la Città Sociale non furono voluti da un soggetto indistinto (la famiglia Marzotto!), bensì da un uomo in carne ed ossa, ovvero da quel "visionario" che rispondeva al nome di Gaetano Jr. Conviene percià "dare a Cesare ciò che è di Cesare", anche perché la "famiglia" [quella di Gaetano Jr] arrivò dopo e, come è noto, non diede grande prova di sé, salvo l'ultimo figlio, Pietro, che risanò la vecchia Manifattura Lane trasformandola in una efficiente e redditizia multinazionale, poi preda proprio della famiglia che ne cedette gli asset migliori per monetizzarne il successo.
b) Bonfanti non fu affatto "uomo controverso", e tantomeno "architetto chiave del Ventennio": fu anzi, nella sua interpretazione del Novecentismo italiano, l'antitesi della architettura retorica e enfatica (per non dire dell'urbanistica) di Marcello Piacentini, egli sì architetto (e pupillo) del Regime. Se così non fosse, la Città Sociale, così raffinata nelle sue tipologie costruttive, non sarebbe ancor oggi oggetto di studio, e testimonianza della progettazione sociale del laniere valdagnese.
Ti ringrazio moltissimo per le precisazioni perché per me sono oro.
EliminaGrazie davvero.
Per quanto riguarda Bonfanti, quelle due definizioni sono puramente mie.
Uomo controverso e Uomo chiave del Ventennio perché quando si pensa a lui si pensa spesso al fascismo.
Almeno comunemente lo si fa.
Il fatto è che l'architettura del Ventennio, accanto alla paccottiglia di regime, contiene molte edificazioni di qualità. Anche di architetti iscritti al Pnf, che non si piegarono ai canoni piacentiniani, ma sperimentarono vie originali. Due esempi per tutti? l'architetto padovano Quirino De Giorgio che, pur lavorando su commesse del Pnf, progettò e realizzò opere di pregio, come i due borghi rurali (più "opere" fasciste di così!) di Vigonza e di Candiana, o diverse case del fascio, dove qualsiasi retorica di regime (decorazioni littorie a parte) è assente. E Gio Ponti, che lavorò con assoluta indipendenza stilistica nell'Università di Padova del fascistissimo rettore Carlo Anti.
RispondiEliminaSì, la storia dell'architettura del Ventennio riserva molte (positive) sorprese...
Con simpatia, G.R.
Ho riletto oggi questo posto e mi è vento alla mente un aneddoto sul DAM che mi è stato raccontato dal mio babbo. Mio padre era un alpinista di valore e viene spesso citato nei libri di alpinismo relativo alle piccole dolomiti ed era "maestro" (Suvvia, lasciatemi passare il termine per orgoglio filiale) di Bortolo Sandri, il compianto alpinista scomparso con Mario Menti sull'Eiger. Proprio riferito a Sandri è il racconto del giro dell'anello ce si vede chiaramente nella foto alla sommità del DAM. Sandri lo faceva spesso attaccato solo con le mani e con il corpo a penzoloni. Mio padre ha sempre ammesso di averci più volte provato ma di non avere mai completato il giro come faceva regolarmente Sandri. Cittadini valdagnesi di altri tempi.
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