lunedì 7 ottobre 2013

Valdagno e il Vajont


Era il 9 ottobre del 1963 e ... xe vegnu' xo tuto.
Così la mia nonna, la Cecilia, mi raccontava del Vajont e io le chiedevo sempre quanto lontano fosse da Valdagno.
Anni dopo, presi la mia macchinina e raggiunsi Longarone e capii che il Vajont era un bel po' distante dalla nostra piccola vallata.
Tra pochi giorni ricorrerà il cinquantesimo anniversario di questa tragedia italiana ed io, per l'ennesima volta, mi dico che non ci sarebbe proprio bisogno di un anniversario come questo.
Ma cosa unisce Valdagno e il Vajont?
Tanti piccoli e giovani uomini coraggiosi, uno dei quali era mio zio.
Era lo zio Antonio ed io e lui ci parlavamo a monosibillabi.
Forse aveva poca voglia di fare dei sorrisi ai bambini o forse era solo un po' "orso", non lo so.
Io ero piccola (era la metà degli anni '80) e passavo tanto tempo da mia nonna, in via Castello.
Mio zio passava spesso a salutare sua madre. Ogni tanto le portava le beccacce da curare oppure le trote. Mia nonna era diligente e puliva sempre tutto e poi metteva in freezer.
Mio zio chiacchierava con le con quella voce da uomo un po' burbero.
Lui è morto quando io avevo 15 anni circa e non creai mai un vero e proprio legame con quell'uomo.
Lo creai, a modo mio, nella mia mente.
Era come una specie di puzzle composto da quello che io immaginavo e dai racconti che la mia nonna non smetteva di regalarmi.
Uno di questo era proprio su quel maledetto Ottobre del 1963.
Mio zio, in quel tempo, era Alpino dalle parti di Belluno.
Era giovane, come molti, e non si aspettava di certo di correre in soccorso ad una tragedia simile.
Mia nonna mi raccontò che venne mandato col suo battaglione proprio a Longarone.
C'era solo fango e la morte aleggiava ovunque.
Lui camminava in mezzo al fango per trovare le persone e spesso sentiva di camminare proprio sopra dei cadaveri. Si chinava per cercare di afferrare le persone sotto di lui ma il fango aveva reso tutto viscido ... e le persone sfuggivano via.
Rimase lì una decina di giorni, col suo battaglione.
Quando tornò venne mandato in licenza a casa, perché la tragedia era stata davvero forte e aveva provato tutti.
Di notte, a casa di mia nonna, lui urlava.
Urlava forte in preda agli incubi.
Quel fango lo aveva segnato e l'impossibilità di salvare la gente lo tormentava.
Mia nonna  mi raccontò poi che ci mise anni a stare meglio.
Come lui, sono convinta che molti altri Valdagnesi siano andati in soccorso alle genti di Erto, Casso e Longarone.
Come lui, sono sicura che queste persone hanno portato a Valdagno il sentore di quella tragedia.
Chissà se qualcuno l'ha raccontato apertamente.

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