lunedì 30 settembre 2013

Morando Forever

Foto dalla Pagina Facebook della Malga del Morando
Sono qua che cerco come una disperata le foto dei luoghi che voglio raccontare.
Ergo ... urge session fotografica in quel di Valdagno e dintorni, che dite?
Oggi facciamo un giro fin su alla Malga del Morando.
Gironzolando in rete ho scoperto con molta felicità una pagina di Facebook dedicata proprio alla mitica Malga. E ho sorriso.
La Malga del Morando è approdato (come è giusto che sia) nell'epoca del 2.0.
Giorni fa si parlava di "riferimenti", di quei luoghi che diventano vere e proprie pietre utili per segnare i propri incontri e il proprio cammino.
Il Morando per me è uno di questi.
Quando ero piccolina ho cominciato a fare gli Scout.
Anni e anni col fazzolettone arancio del Valdagno I. E fiera di averlo fatto perché, anche senza fazzolettone al collo, quello spirito di Scout non mi è mai passato.
Lo stesso vale per mio fratello Davide e fu proprio lui a raccontarmi del Morando quando ero piccola.
Mi diceva di aver fatto un campo invernale con gli scout proprio in quella Malga.
Me lo raccontava ogni volta che, assieme, andavamo a Recoaro Mille.
Io, 11 anni più piccola di lui, tutte gli volte gli chiedevo timorosa "Davide, fin dove camminiamo?" e lui mi rispondeva sicuro "Fino al Morando".
Io adoravo la Strada delle Montagnole Basse e, una volta cresciuta, inforcavo quella strada ogni volta che volevo pensare un po'.
I passi arrivavano da soli, gli occhi si colmavano di natura.
E non appena lo stomaco brontolava... ecco che spuntava il Morando.
Un po' di sopresa e formajo, un po' di bontà nostrana a rifocillare corpo, anima e cuore.
Il Morando è sempre stata per me uno di quei luoghi sicuri, quei posti che non potranno mai mancare sulla linea dell'orizzonte delle Piccole Dolomiti.
Ho cercato qualcosa sulla sua storia e ho trovato solamente che Morando è un cognome tipico della Lessinia. Forse, come quasi tutta la zona, ha origini cimbre ma questo poco importa.
Ciò che mi piace pensare quando pronuncio la parola "Morando" è proprio quella genuinità, quella storicità, quella presenza fidata che quel luogo ha sulle nostre montagne.
Ce ne fossero di Morando nel mondo!
Ho viaggiato tanto ma ancora oggi, per me, non c'è un posto come quella Malga!
Per questo dico a pieni polmoni... Morando Forever!

giovedì 26 settembre 2013

I riferimenti della Banda dei Carmini

Foto da Panoramio
Dopo qualche peregrinazione in terra inglese, eccomi qui!
Il post di oggi è scritto da Massimo Ceron, aka Massimin74.


Due erano i principali punti di riferimento della banda dei Carmini per i ritrovi: la fontana e il bosco.
La grande fontana si trovava in prossimità dell’inizio di Via Miravalle e davanti alla “botegheta”, un negozio prima di alimentari e poi piccola industria tessile a conduzione familiare.

Qui si passavano intere giornate a giocare a pallone in strada, con campo di gioco costituito da due piccole porticine, una vicino alla “botegheta” e una sul lato opposto, dove c’è una mura che separa la strada dalla famosa Villa di Marzotto, ora residenza per anziani: nella foto si scorgono proprio i due paletti bassi della porta vicino alla saracinesca della “botegheta”.

Uno dei problemi principali era quando il pallone veniva calciato involontariamente all’interno delle mura della Villa alte circa 5 m, perché per andare a prenderlo serviva scavalcarla ed essere più veloci dell’arrivo di un cane lupo, che tempestivamente bucava il pallone.

E un altro problema era costituito da qualche secchio d’acqua di una signora che, spazientita, ogni tanto
lanciava dal poggiolo della propria abitazione, sita sopra la “botegheta”: qualche gavettone non poteva
proprio essere evitato!

Il bosco che dai Carmini si estende verso il Poggio Miravalle (sulla sinistra della foto) era invece era luogo strategico per la costruzione della base e per i piani d’azione nel caso arrivassero nemici dalla Piazza di Valdagno, ma anche posto per la grande raccolta delle castagne durante il periodo autunnale.

Salendo poi verso il Poggio Miravalle c’erano le due curve, punto di riferimento ben noto a chi è cresciuto in zona, e più in sù il punto di confine era rappresentato dal ripetitore, situato alla sommità del monte e che per questo consente la visione dei canali televisivi in vallata (utilizzato oggi anche per i telefonini): oltre non si andava, più in là c’èra il territorio della frazione di Castello, quello lì era un po’ il punto più lontano che la Banda dei Carmini poteva tenere sotto controllo.

lunedì 16 settembre 2013

C'era una volta Pippo

Foto da Google Images
Ieri ho rivisto, per caso, Roma Città Aperta di Rossellini.
Io amo quel film in modo viscerale perché è davvero un ritratto sincero su di un'epoca davvero estrema della storia Italiana.
Guardare quel film mi ha aiutato a metter giù qualche pensiero su questo post.

C'era una volta Pippo, ovvero c'era una volta un aereo che metteva paura a tutti i valdagnesi.
Siamo nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e Pippo era un aereo tedesco che sorvolava il nostro cielo valdagnese non appena cominciava il coprifuoco.
Mia nonna, la Cecilia, abitava in via Castello e lì passava l'estate a chiacchierare con tutte le donne della corte dove si trovava la sua casa.
Una delle cose che mi colpivano di tutte quelle signore spettegolanti era il gelo che calava sui loro volti quando passava un aereo nel cielo.
Così un bel giorno la Cecilia mi raccontò di Pippo, e capii molte cose.
All'arrivo della sera, di ogni sera tra il 1943 e il 1945, tutti dovevano entrare in casa.
Le luci dovevano essere spente, possibilmente gli scuri dovevano essere chiusi e nessuno doveva circolare per le strade.
Doveva regnare il silenzio, e dentro questo silenzio regnava la paura.
Rrrrrrrrrrrrrrrrrr... si sentiva solo il rumore dell'elica di Pippo.
Spesso quando si ha paura di qualcosa si cerca di dare a questa entità un nomignolo o qualcosa simile che lo renda più vulnerabile ai nostri occhi.
Questo è stato proprio il destino di quell'aereo: faceva così paura che tutti sentirono il bisogno di trovare a questo "coso" un nome che lo riportasse nei ranghi umani.
Mia nonna mi raccontò che fu il prete a chiamarlo Pippo.
Lo nominò per la prima volta durante una messa.
Non so se questa storia sia vero o verificabile.
Quello che però non cambia è che quell'oggetto volante molto ben identificato era il simbolo della paura di una popolazione intera.
Pippo soggiogava la città e stritolava la speranza di mettere la parola fine ad una guerra che ormai aveva già fatto danni irreparabili.
Quella parola, fine, arrivò.
Pippo se ne andò.
Nel cuore di chi visse quel periodo, però, ogni aereo era Pippo.
Ogni rombo era il seme di una nuova paura nel cuore.

giovedì 12 settembre 2013

Il giro de l'Ombra

Foto da 123fr.com
Sul mio blog di viaggi ho scritto un post, la settimana scorsa, che raccontava delle feste dell'Uva. Ne consigliavo due e stavo quasi per citare l'ormai defunto Giro de l'Ombra di Valdagno.

Io me lo ricordo bene... dall'alto dei miei 35 anni.
C'erano due avvenimenti che dicevano a tutti i Valdagnese "Varda un po', xe riva Setembre".
Uno era la festa dell'Oratorio.
Il secondo era il Giro de l'Ombra che, come da tradizione, si svolgeva durante una delle prime domeniche di Settembre.
Spesso coincideva con uno degli ultimi giorni di vacanza prima di tornare a scuola.
Per chi non se lo ricorda (o non l'ha mai vissuto) Giro de l'Ombra era il soprannome della Camminata Enogastronomica per l'Avis.
Al grido di "Vin fa sangue" si partiva tutti baldanzosi al mattino, dopo un buon caffé corretto grappa al bar dello Stadio di Valdagno.
Il Giro era sì un'ottima occasione per far festa ma era soprattutto un pretesto goliardico per raccogliere fondi per una causa più che giusta.
Quello che mi piaceva da matti di quella manifestazione è che ci trovavi chiunque: dai giovani scatenati, alle famiglie con bambini, ai vecchi che camminavano in modo così costante da superare i ragazzi di 20 anni.
Era una festa pazzesca che, come molte feste, finiva alcune volte negli eccessi senza mai stravolgere quello che era il concetto sulla quale poggiava: divertiamoci per una giusta causa.
Il Giro è un pretesto per fare gruppo, un'ottima occasione per mangiare e bere e il momento perfetto per dire addio all'estate.
Di gente "in bala" ne ho vista parecchia ma non superava di certo la gente col sorriso sincero stampato in faccia.
Un bel giorno il Giro sparì e su quella sparizione se ne sentirono di ogni.
C'era chi diceva che non era educativo, chi raccontava che non c'era più chi voleva organizzarlo.
Il dato di fatto è che Valdagno aveva perso un momento che faceva parte, nel bene e nel male, della storia del paese.
Una delle cose più belle del Giro de l'Ombra era ritrovarsi qualche giorno dopo e sentirsi raccontare quelle cose che non ti ricordavi più di avere fatto.
Una risata, la promessa che l'anno prossimo sarebbe stato ancora più bello ... e l'Autunno era già alle porte, con tutti i suoi doveri e le cose da fare.


lunedì 9 settembre 2013

La Banda dei Carmini

Picture from Geoplan

Il post di oggi è un regalo di Massimo Ceron, aka Massimin74.
Anche lui racconta Valdagno e dintorni attraverso il suo blog.

Venticinque - trent’anni fa non esisteva Internet, e la TV non è che offrisse grandi passatempi.
E così non c’era alternativa migliore che trovarsi il pomeriggio fuori di casa, e inventarsi ogni giorno
qualcosa di nuovo, per passare i pomeriggi e crescere insieme.
Ai Carmini, piccola frazione di Valdagno ai piedi del Poggio Miravalle e dietro la fabbrica della Marzotto, ci si trovava tutti davanti alla Chiesetta, alla fontana o nel famoso campo, magari con un pallone da calcio (ma non necessariamente).

E lì si decideva cosa fare.
Tra i ricordi più belli senza dubbio le gare con i modellini delle macchinette nella discesa dietro la fontana, quelle con i carretti recuperati dalla raccolta del ferro vecchio (che era vicino alla cabina dell’ENEL), il gioco dei quercetti (ossia i tappi delle bottiglie delle birre o dei succhi di frutta), la costruzione della base per la banda su per il vicino bosco, la costruzione della diga che bloccava l’acqua proveniente dal ruscello a monte e che, quando veniva liberata, provocava l’allagamento degli orti e il successivo nostro fuggi fuggi generale dalle sfuriate dei proprietari, che magari avevano appena seminato.
Ma i periodi più intensi erano senz’altro quelli dei fioretti, ossia i ritrovi durante il mese di Maggio per le
recite del rosario nella chiesetta: qui c’era la costante diatriba (quasi ogni sera) tra signore anziane, chi
favorevole e chi contrarie alla nostra presenza, perché da una parte eravamo ritenuti fonte di disturbo
mentre dall’altra la nostra presenza veniva comunque vista come momento di allegria e spensieratezza,
magari dopo una dura giornata lavorativa in fabbrica.

Ma la banda dei Carmini era una cosa seria, e gli estranei che si avvicinavano alla base del bosco potevano essere attaccati con lanci di pigne.
E nei periodi invernali ci si radunava in ore serali lungo la strada che porta al Poggio Miravalle, e lì si
versavano interi secchi d’acqua sulla sede stradale, cosicchè la formazione del ghiaccio notturno la faceva diventare il giorno dopo una fantastica pista per le slitte, cosa inimmaginabile al giorno d’oggi, tutt’al più che al Poggio sta per costruire una sua residenza Matteo Marzotto.

Così siamo cresciuti ai Carmini, frazione di Valdagno.


mercoledì 4 settembre 2013

I Tre Scalini

Valdagno via Castello

La chiamavano la "Mora dei tri scalini", mia nonna la chiamava sempre così.
Un tempo, circa fino alla metà degli anni '80, nel punto dove comincia Via Castello, proprio poco dopo la fine di Via Manin, c'era una piccola osteria.
Mi ricordo che la casa, ben diversa da quella che c'è ora, era intonacata di bianco ed aveva i balconi verde scuro.
Per me era un luogo di mille passaggi perché mia nonna Cecilia abitava proprio su per la pontara del Castello e per andarla a trovare io passavo sempre di lì.
La Mora era la proprietaria dell'osteria che era una vera e propria piccola realtà valdagnese.
Dentro c'erano sempre dei vecchi che giocavano a carte e dalla cucina usciva sempre odore di mangiare.
Quando d'estate non andavo a scuola, passavo molto tempo da mia nonna al Castello.
Lei ogni tanto mi dava dei soldi per andarmi a prendere la spuma, dopo aver giocato.
Mi sembrano davvero dei ricordi di altri tempi.
Mi sembra di aver vissuto una vita fa.
La Mora era una donna molto ruspia, a me sembrava sempre cattivissima.
Non ero felice quando la mia nonna si voleva fermare a parlare con lei.
Io vedevo quella donna sempre arcigna, sempre con la fronte aggrottata.
Un giorno la mia nonna mi raccontò che la Mora era rimasta sola molto giovane e che, da quel momento, aveva seguito la sua osteria senza guardare in faccia nessuno.
I Tre Scalini erano tappa fissa prima di tornare a casa dopo essere state al mercato, il venerdì.
Lì mia nonna si prendeva uno spritz ed io la consueta spuma, che mi piaceva molto.
La Mora era solita urlare e non sapevo perché.
Il Venerdì c'era spesso odore di trippa da quelle parti e c'era sempre molta gente che pranzava da sola.
Mi piace pensare, ora che sono passati tanti anni, ai Tre Scalini come una sorta di Isola che non c'è.
Un luogo dove le anime sole e vaganti trovavano ristoro, qualche parola, un ombra de bianco e sicuramente un po' di sensazione casalinga.
I Tre Scalini non ci sono più.
Ricordo che la Mora morì qualche anno prima della mia nonna.
Lì ora ci sono degli appartamenti ma per me ci saranno sempre quei balconi verdi, le urla della Mora, la trippa e la spuma.

Un grazie grande a Massimo per la foto della via.

lunedì 2 settembre 2013

Recoaro: Nascita di una Fonte

Durante l'ultima settimana, gli amici di I Love Valdagno hanno postato alcune cartoline d'epoca legate all'attività termale Recoarese. Queste cartoline divertenti sottolineavano la potenza e il potere delle acque che sgorgano dalle nostre montagne.
Come sono nate le famose Fonti? Quando sì è cominciato a bere con coscienza curativa quell'acqua così particolare?
Dobbiamo fare un grosso salto nel passato e arrivare fino al 1689 quando il Conte Lelio Piovene comprovò il potere curativo dell'acqua di Recoaro.
La fonte da cui sgorgava l'acqua venne nominata "Lelia" proprio in onore del Conte.
Da quel momento, Recoaro cominciò ad essere sulla bocca di tutti i nobili dell'Europa che contava.
Lo racconta anche il nostro Bernardo Bocchese nelle sue Cronache.
Siamo nell'anno 1779, dieci anni prima che scoppiasse la Rivoluzione Francese.
I nostri territori erano governati, allora, dalla Serenissima.
Mancavano però pochissimi anni alla Caduta della Repubblica di Venezia.
Tornando alla storia, il 19 Aprile del 1779 i Veneziani ordinarono di fare un "Casamento per le Acque di Recoaro" che sarebbe stato pagato dalla Repubblica di Venezia.
Bocchese racconta anche che prima che fosse costruito questo stabilimento "[...] le acque viniva fuora da una gorna di scorza di castegnara e scorza di albero, alle temperie dell'aria e pioggia e non si pagava niente [...] ".
Di strada le fonti ne hanno fatta tanta.
Quando ero piccola (parlo degli anni '80) i miei genitori mi portavano a Recoaro nelle sere d'estate perché là c'era tanta vita, era tutto aperto e potevo andare a vedere i negozi di giocattoli anche alle 10 di sera.
Mi sembrava che quel luogo fosse un altro mondo rispetto alla mia Valdagno.
Ora tutto è silente e quando guardo l'edificio Art Déco delle Fonti provo un po' di nostalgia malinconica e mi chiedo sempre se non si possa fare nulla per un luogo che ha così tanto da dare.
Il turismo termale è, attualmente, il settore con il passo più forte e deciso nel nostro paese.
Nascono SPA e centri termali in ogni dove.
Io dico che Recoaro sarebbe il luogo giusto per costruire qualcosa di importante, nuovo, sicuro che sappia traghettare il potere delle acque nel futuro invece di farlo stagnare nella pozzanghera di un presente fin troppo fermo e incerto.

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